Sarebbe una sciocchezza bussare alla tua finestra, magari lanciarti sassolini sul vetro come si vede in certi vecchi film, solo per attirare la tua attenzione?
Sarebbe una sciocchezza poi invitarti ad andare lontano a vedere quanto sono belle le stelle in questo periodo dell’anno?
Sarebbe una sciocchezza mandarti un mazzo di fiori, senza biglietto, solo per vedere da lontano il rossore dell’imbarazzo dipingersi sul tuo viso?
Ho chiamato tuo padre l’altro giorno. No, lui non te l’ha detto. Mi ha confessato però, con un certo orgoglio, che ti sei fidanzata. Sono felice per te.
Hai quasi vent’anni, infondo, è giusto così, no? Come voleva tua madre, come voleva tuo padre. Come volevi tu? Sono felice per te.
Oggi qui splende il sole, sai? Scommetto che lo vedi anche tu, anche se il tuo sole sarà decisamente più opaco del mio e farà sicuramente più freddo. Ti vedo rabbrividire, salendo nell’abitacolo di quel vecchio pick up che non hai mai voluto cambiare. Tuo padre mi ha detto anche che qualche mese fa hai fatto un incidente in moto. Lo sapevo già. Sono stato io a tirarti fuori dalle macerie, mentre eri incosciente. Ora stai meglio. Sono felice per te.
Domani sarà il mio compleanno, te lo ricordi?
Una volta mi hai chiesto quale sarebbe stato il regalo che avrei voluto ricevere, più di qualunque altra cosa al mondo. Ricordi cosa ti ho risposto? Volevo te, per sempre te.
Sono passati due anni da quando me ne sono andato. Due anni da quando la mia vita è finita in un sussurro. Ricordi ancora parole che ti ho detto per ferirti? Io sì, una per una. Ogni volta che mi tornano in mente, cerco di scandirle bene, lettera per lettera, affinché il suono di ogni sillaba maledetta mi perfori la pelle del petto come un coltello e mi faccia male. Sono felice che sia così. Sono felice per te.
Non vedo i miei genitori dallo stesso giorno in cui ho abbandonato i tuoi occhi scuri. Non mi nutro da quando sono tornato e ti ho spiata mentre passeggiavi mano nella mano con lui. Mi bruciano gli occhi per tutte le volte in cui mi sono fermato a guardare il sole in faccia, come se lui potesse incendiarmi e purificarmi dal demonio che sono.
Tu conosci quel diavolo. E’ lo stesso che ti ha allontanato dalle mie mani inutili, troppo piccole forse per contenere tutta la tua fragilità.
Qualche giorno fa ho pianto. Strano, vero? Non so nemmeno come sia successo.
Ieri sono sceso dall’aereo e ho visto una famiglia. Un marito, una moglie, tre figli. Ho visto il tuo futuro, il futuro che con me non sarebbe mai esistito, ma che ora potrai avere. Mi chiedo che viso avranno i tuoi bambini. Avranno il volto pallido e perfetto come il tuo? O saranno abbronzati e spavaldi? Sono felice per te.
Ho cambiato casa. Mi sono trasferito in una fogna. Rideresti, anche nel vedere lo stato in cui mi sono ridotto, e per me sarebbe un beneficio, solo sentire il suono dolce della tua risata. Ho perso la voglia di occuparmi di me stesso, perché da due anni a questa parte, ho smesso di esistere.
Qualcuno a volte, per lo più compagni di sventura, uomini burberi dagli occhi rossi e affamati, cercano di riportarmi in superficie, cercano di farmi tornare quello che ero. La stessa vita che anche tu volevi, ma che nessuno ha mai desiderato darti. Sono felice per te.
Oggi ho deciso di salire, sai? Sì, ma lo faccio solo perché sono felice per te.
Continuo a ripeterlo e mi sento uno stupido.
Già, più lo ripeto e più cerco di convincermi che devo esserlo, per te, per non farti del male.
E’ giugno inoltrato, ma tutti mi fissano perché addosso ho un cappotto sgualcito che mi copre il viso con un cappuccio. Lo sai che non posso espormi al sole. Ho un segno nero sulla mano. Mi sono sporcato risalendo dal sottosuolo. Ha la forma di una mezzaluna e più lo guardo, più mi torna in mente la tua cicatrice. Ricordi quando ti ho salvata dal veleno famelico di una bestia?
Deglutisco. Sai che fa male non riuscire a piangere quando vorresti?
E’ quasi mezzogiorno. Ti immagino pranzare con tuo padre, accoccolata sulla sedia, con un libro davanti agli occhi, sempre quello. Mi viene da ridere. Sono felice per te.
Sono al centro esatto della piazza di Volterra, non avrei potuto scegliere giornata migliore. Il sole trafigge tutti come una spada affilata e presto anche io farò la stessa fine.
Mi sono sentito in dovere di dirti addio, mi sono sentito in dovere di farti sapere che ogni attimo che ho trascorso lontano da te, in realtà, mi avvicinava sempre di più alla tua bellissima persona.
Sei l’unica al quale mi sento in dovere di dare delle spiegazioni chiare. Non me ne sono mai andato perché non ti amavo, non so come tu abbia fatto a credere a una bestemmia simile.
Me ne sono andato per permetterti di vivere una vita normale, lontano dal desiderio di morire, lontano dalla possibilità di farlo.
Me ne sono andato perché d’ora in poi, ogni tuo respiro sarà per lui, Jacob.
Me ne sono andato perché non potevo non farlo.
Oggi, qui, in mezzo a questa piazza, piena di gente che presto assisterà al mio omicidio, non posso far altro che gridare il tuo nome, mia Bella.
Tu che per sempre sarai l’angelo delle mie tenebre. Tu che hai fatto battere il mio cuore incenerito, tu che non hai mai chiesto perché.
Oggi me ne vado per sempre dal mondo e non potrei essere più felice per te, di così.
E’ mezzogiorno.
Non ho paura, sai? Mi dispiace solo che al tuo matrimonio non potrò essere in fondo alla fila ad osservarti. Oh, sarai bellissima, Bella. Tuo padre e tua madre piangeranno commossi e tu finalmente vivrai una vita normale.
Ho mantenuto la mia promessa, non trovi? Due anni ed è esattamente come se io non fossi mai esistito. Sento le campane suonare, è ora.
Non saprai mai che fine ho fatto, Bella. Mi auguro solo che, dovunque sarai, con chi sarai, il ricordo di me non ti impedisca mai di essere felice, perché allora, anche dall’inferno, il mio cuore andrebbe in pena.
Il cappuccio scivola piano dalla mia testa.
La mia eternità sta per finire, perché se tu non la dividi con me, non ha senso vivere per sempre.